- 1 Il disavanzo commerciale degli Stati Uniti: miti e realtà
- 2 Il deficit commerciale degli Stati Uniti: miti e realtà 2
- 3 Il dilemma di Triffin e la misurazione delle riserve valutarie globali in dollari
- 4 Il ruolo del dollaro e i determinanti del disavanzo delle partite correnti degli Stati Uniti
- 5 5: Relazioni macroeconomiche fondamentali degli squilibri commerciali e finanziari esteri
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- 1 Il disavanzo commerciale degli Stati Uniti: miti e realtà
- 2 Il deficit commerciale degli Stati Uniti: miti e realtà 2
- 3 Il dilemma di Triffin e la misurazione delle riserve valutarie globali in dollari
- 4 Il ruolo del dollaro e i determinanti del disavanzo delle partite correnti degli Stati Uniti
- 5 5: Relazioni macroeconomiche fondamentali degli squilibri commerciali e finanziari esteri
- 6 I deficit commerciali e gli squilibri globali degli Stati Uniti (1998-2008): cause, narrativa e analisi contabile
- 7 Analisi dei deficit commerciali e finanziari degli Stati Uniti (1998-2008) e delle relative teorie esplicative
- 8 8: Limiti e cause interne dei deficit esteri statunitensi (1998-2008)
- 9 Dibattito sul Deficit Commerciale e Politiche Tariffarie negli Stati Uniti
- 10 Posizione esterna degli Stati Uniti, dinamiche della ricchezza netta e privilegio esorbitante
Il disavanzo commerciale degli Stati Uniti: miti e realtà
Analisi delle cause macroeconomiche e delle narrazioni politiche sullo squilibrio estero americano.
Sommario
L’argomento confuta le narrazioni prevalenti che attribuiscono principalmente a fattori esteri, come “pratiche commerciali estere mercantiliste” e “la liberalizzazione commerciale”, la causa del disavanzo commerciale aggregato degli Stati Uniti. Afferma invece che “le condizioni e le politiche macroeconomiche interne agli Stati Uniti sono state i principali fattori causali”, una tesi supportata da studi che identificano nei fattori macroeconomici i “principali driver degli squilibri commerciali bilaterali”. Viene presentato il periodo 1998-2008 come caso di studio cruciale, i cui “deficit eccezionalmente grandi” sono spiegati da “fattori prodotti in America piuttosto che importati”. Si discute il ruolo di politiche interne, come quella fiscale e monetaria, nel ridurre il disavanzo, ad esempio “attraverso un consolidamento fiscale che aumenti il risparmio nazionale”. Si esaminano anche motivazioni politiche per ridurre il deficit, tra cui la preoccupazione per la deindustrializzazione e il trasferimento di ricchezza, e si valutano opzioni politiche come svalutazione valutaria e dazi, notando che “le politiche commerciali possono spostare la bilancia commerciale aggregata quando hanno importanti effetti macroeconomici”. Viene infine analizzato l’impatto di fattori globali, come l’ingresso della Cina nel WTO e il “ruolo globale del dollaro”, riconoscendo un “complesso intreccio di forze domestiche e globali” e che “fattori internazionali hanno contato; ma anche i fattori domestici sono stati importanti, e a volte, più importanti”.
Il deficit commerciale degli Stati Uniti: miti e realtà 2
Un’analisi delle cause e delle interpretazioni del disavanzo commerciale statunitense, con particolare riferimento al periodo 1998-2008.
Sommario
L’argomento esamina il disavanzo commerciale degli Stati Uniti, sfatando “tre miti prominenti [che] sottostanno alla narrazione che gli Stati Uniti siano stati vittimizzati dai partner commerciali” (7). Questi miti collocano le cause principali del deficit al di fuori dei confini nazionali, sostenendo che sia stato causato da “manipolazione da parte di alcuni partner commerciali degli Stati Uniti” (351), da un “eccesso di risparmio globale” (366) o dalla domanda globale di attività in dollari. Il testo confuta queste spiegazioni, affermando che “le realtà sono più sfumate” (11, 52). Analizza le componenti del deficit, mostrando che “mentre le politiche commerciali estere e domestiche possono influenzare sia le importazioni che le esportazioni separatamente, non sono i principali motori della loro differenza, il deficit commerciale” (12). Un’attenzione specifica è dedicata al periodo dei “disavanzi record delle partite correnti che gli Stati Uniti hanno sperimentato tra il 1998-2008” (656), le cui cause multiple e interagenti sono esaminate, compreso il ruolo dell’accesso della Cina al WTO. L’analisi utilizza dati sulla bilancia dei pagamenti, sulla posizione patrimoniale netta sull’estero (NIIP) e sul commercio in valore aggiunto, evidenziando come “un’analisi della dinamica del NIIP chiarisce come il collegamento si sia svolto nella pratica” (103). Vengono discussi anche temi minori, come l’idea che i deficit causino deindustrializzazione, l’impatto delle politiche fiscali e monetarie, e le implicazioni delle politiche protezionistiche.
Il dilemma di Triffin e la misurazione delle riserve valutarie globali in dollari
Analisi della relazione tra lo status internazionale del dollaro, i deficit delle partite correnti statunitensi e la crescita delle riserve ufficiali globali, con particolare attenzione ai dati del FMI (COFER) e del BEA.
Il sommario tratta il dibattito sulla necessità dei deficit commerciali statunitensi per soddisfare la domanda globale di attività di riserva in dollari, sfatando l’idea di un nesso meccanico e univoco. Viene esaminato il “dilemma di Triffin”, per cui “il produttore dell’attività di riserva deve registrare persistenti deficit delle partite correnti come contropartita dell’esportazione di attività di riserva”. Si confrontano le serie di dati sulle passività ufficiali statunitensi (BEA) e sulle riserve globali denominate in dollari (COFER), rilevando una “discrepanza” dovuta al fatto che i dati COFER “in linea di principio includono riserve che non sono crediti diretti su entità residenti negli Stati Uniti”. Vengono presentate misure alternative delle riserve in dollari (v.1 e v.2) per tenere conto delle riserve “non allocate” del COFER, il cui ammontare nominale “è stato essenzialmente costante per un decennio”. Il sommario cita stime secondo cui il ruolo di riserva del dollaro indebolisce il saldo delle partite correnti di circa “1,8 percento del PIL”. Si affrontano temi minori come l’effetto della domanda di riserve sul tasso di cambio e sui tassi di interesse, e il ruolo della “preferenza globale per il dollaro”.
Il ruolo del dollaro e i determinanti del disavanzo delle partite correnti degli Stati Uniti
Analisi empirica e dibattito teorico sulle cause strutturali e macroeconomiche del disavanzo commerciale e delle partite correnti degli Stati Uniti, con particolare attenzione all’influenza del dollaro come valuta di riserva globale.
Sommario
L’argomento verte sui fattori determinanti il persistente disavanzo delle partite correnti e commerciale degli Stati Uniti. Un approccio metodologico centrale è la stima di modelli panel cross-country per la determinazione delle partite correnti, dove “le variabili indipendenti possono includere fattori demografici che influenzano il risparmio, le posizioni fiscali del governo, le dotazioni di risorse, le attività nette sull’estero, il reddito reale pro capite, tra altri potenzali driver”. All’interno di questo quadro, un tema ricorrente è l’effetto del ruolo unico del dollaro come valuta di riserva internazionale. Stime come quelle di Chinn e Ito attribuiscono al suo status un disavanzo aggiuntivo delle partite correnti statunitensi di “circa il 2 per cento del PIL” del paese, mentre Gagnon e Sarsenbayev trovano che “in media nel periodo 1986-2018, le riserve ufficiali estere in dollari sono associate a un effetto aggiuntivo di −1,2 per cento del PIL sulle partite correnti statunitensi”. Il modello EBA del Fondo Monetario Internazionale inizialmente supportava questa relazione, rilevando che “per ogni 10 punti percentuali di riserve globali detenute nella sua valuta, il saldo delle partite correnti di un paese si indebolisce di circa lo 0,3 per cento del PIL”, sebbene questa variabile abbia successivamente perso significatività statistica. Un tema minore discute la presunta manipolazione valutaria da parte di alcuni partner commerciali, dove si sostiene che “quando molti paesi acquistano simultaneamente dollari, ciò può rafforzare il dollaro rispetto alle principali valute estere, portando a un impatto negativo sproporzionato sulla bilancia commerciale degli Stati Uniti”.
La discussione si collega a teorie macroeconomiche più ampie. Una prospettiva, associata a Klein e Pettis, identifica nei “risparmi eccessivi all’estero” e nel “ruolo degli Stati Uniti nell’assorbire questi risparmi in eccesso” il fattore causale primario, affermando che “il persistente disavanzo delle partite correnti americano può essere spiegato solo dai risparmi eccessivi all’estero”. Questa visione porta a proposte politiche come l’introduzione di “una tassa sugli afflussi di capitale” per costringere gli Stati Uniti a “vivere più strettamente entro i propri mezzi”. Un tema minore parallelo esamina l’inefficacia dei dazi commerciali nel correggere il disavanzo, notando che “i dazi hanno scarso impatto sui saldi commerciali e determinano un apprezzamento reale della valuta”, poiché “il dazio provoca un apprezzamento della valuta che scoraggia sia le importazioni che le esportazioni, impedendo qualsiasi sostanziale guadagno nella bilancia commerciale”. L’analisi storica fa riferimento a episodi come i disavanzi dell’era Reagan, associati a un “senza precedenti apprezzamento reale del dollaro, a sua volta guidato da una politica monetaria restrittiva (la disinflazione di Volcker) e da una politica fiscale accomodante (i tagli fiscali di Reagan e l’aumento della spesa per la difesa)”. Viene inoltre analizzato il periodo 1998-2008, caratterizzato da “disavanzi record delle partite correnti” con cause multiple e interagenti, tra cui l’ingresso della Cina nel WTO e una bolla immobiliare interna.
5: Relazioni macroeconomiche fondamentali degli squilibri commerciali e finanziari esteri
Un quadro concettuale e analitico per comprendere i disavanzi commerciali, la posizione patrimoniale netta e i flussi finanziari internazionali, basato sulle identità contabili nazionali e sulla loro dinamica intertemporale.
Sommario
L’argomento definisce le relazioni contabili fondamentali tra saldo commerciale (net exports), conto corrente, risparmio nazionale, investimento e posizione patrimoniale netta verso l’estero. La definizione centrale è che “il saldo commerciale di un paese riflette la differenza tra il suo risparmio e il suo investimento, o equivalentemente, tra il suo output e il suo assorbimento” (frase 185). Formalmente, “le esportazioni nette equivalgono anche alla differenza tra prodotto interno lordo (PIL), o output finale, Y, e assorbimento interno, che è la somma del consumo privato, C, dell’investimento privato lordo, I, e degli acquisti pubblici, G: 𝑁𝑁𝑋𝑋 = 𝑌𝑌 − (𝐶𝐶 + 𝐼𝐼 + 𝐺𝐺)” (frase 73). Il conto corrente è definito come “reddito nazionale meno assorbimento” (frase 81) ed è uguale, in alternativa, a “esportazioni nette più reddito netto da attività internazionali, o risparmio meno investimento” (frase 82). L’evoluzione della ricchezza netta esterna (net international investment position, NIIP) segue un processo dinamico in cui “𝐶𝐶𝑡𝑡+1 − 𝐿𝐿𝑡𝑡+1 = 𝑁𝑁𝑋𝑋𝑡𝑡 + 𝑅𝑅 �𝑡𝑡 𝐴𝐴𝐶𝐶𝑡𝑡 − 𝑅𝑅 �𝑡𝑡 𝐿𝐿𝐿𝐿𝑡𝑡” (frase 88), vincolata da un “vincolo di bilancio intertemporale nazionale” (frase 94).
L’analisi si estende alla determinazione degli squilibri globali in un modello a due regioni (Home e Foreign) con libera mobilità di capitali. In questo quadro, “il saldo del conto corrente riflette esiti nei mercati dei beni e servizi, mentre l’evoluzione della sua ricchezza netta internazionale dipende anche dai rendimenti finanziari in patria e all’estero” (frase 70). L’equilibrio globale è determinato dall’uguaglianza tra “prestito desiderato dall’estero (e surplus del conto corrente)” e “indebitamento desiderato da Home (e disavanzo del conto corrente)” (frase 384), con un tasso di interesse comune. Viene discusso come “cambiamenti nel risparmio e nell’investimento all’estero così come cambiamenti di portafoglio esteri nella domanda di attività statunitensi possano influenzare la bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti” (frase 372). Vengono esaminati vari shock, come un aumento del risparmio estero che “fa aumentare il risparmio globale, il tasso di interesse mondiale scende, il surplus dell’estero aumenta e il disavanzo del conto corrente di Home aumenta in egual misura” (frase 387), o uno shock di preferenza di portafoglio globale per le attività di Home, che “causerà un disavanzo più ampio per Home e un surplus ugualmente più ampio per l’estero” (frase 402).
Temi minori affrontati includono: il ruolo del dollaro come valuta di riserva globale e i suoi potenziali effetti sul disavanzo; l’analisi empirica delle cause degli squilibri commerciali statunitensi, in particolare nel periodo 2000-2008, sfidando narrazioni come quella del “global saving glut”; l’impatto di bolle immobiliari e politiche monetarie; e gli effetti di politiche commerciali come i dazi, di cui “altri studi trovano effetti negativi delle tariffe sull’output e sull’investimento, con al massimo lievi effetti positivi sulla bilancia commerciale” (frase 252).
I deficit commerciali e gli squilibri globali degli Stati Uniti (1998-2008): cause, narrativa e analisi contabile
Un esame critico dei deficit esteri americani e delle controparti globali nel periodo di massima espansione degli squilibri.
Sommario L’argomento analizza le cause e le dinamiche dei persistenti deficit delle partite correnti e commerciali degli Stati Uniti, concentrandosi sul periodo 1998-2008 caratterizzato da “squilibri globali [che] si sono espansi bruscamente” prima di contrarsi nel Contesta le narrazioni prevalenti che attribuiscono questi deficit principalmente a politiche commerciali estere o a liberalizzazioni commerciali statunitensi, come il NAFTA o l’ingresso della Cina nel WTO. Un’analisi dei dati sui saldi globali mostra che “i paesi della crisi asiatica difficilmente possono aver svolto il ruolo dominante nei deficit degli Stati Uniti del 1998-2008”, mentre “i surplus petroliferi sono una controparte costantemente grande dei deficit degli Stati Uniti dopo il 2003 circa” e “i surplus cinesi diventano significativi, ma non prima della fine del decennio”. Viene esaminato l’impatto specifico dell’adesione della Cina al WTO, definita “un importante shock esogeno negativo alla domanda globale di esportazioni statunitensi”, che ha intensificato la concorrenza e contribuito al cosiddetto “China shock”. Tuttavia, si sostiene che “liberalizzazioni specifiche degli Stati Uniti come quelle associate all’Area di libero scambio nordamericana… possono spostare i saldi bilaterali tra partner commerciali ma non sono le cause principali del deficit commerciale complessivo degli Stati Uniti”. Il quadro teorico considera i ruoli complementari del risparmio globale, dei flussi di capitale e del ruolo internazionale del dollaro, notando che “il privilegio degli Stati Uniti può portare a deficit leggermente più elevati”, ma che “la causa [del deficit crescente dal 1998] non fu il [WTO], ma la crisi finanziaria asiatica del 1997”. Vengono discussi anche temi minori, tra cui le catene del valore globale, l’impatto inflazionistico limitato delle importazioni cinesi, le questioni di misurazione come il “surplus delle partite correnti globale mancante” e le implicazioni per la posizione patrimoniale netta internazionale (NIIP) degli Stati Uniti.
Analisi dei deficit commerciali e finanziari degli Stati Uniti (1998-2008) e delle relative teorie esplicative
Un esame delle dinamiche del dollaro, dei tassi di interesse, dei prezzi commerciali e dei flussi finanziari durante il periodo dei massimi deficit.
Sommario
L’argomento centrale è l’analisi critica delle cause dei persistenti e crescenti deficit delle partite correnti e commerciali degli Stati Uniti, concentrandosi sul periodo 1998-2008, quando i disavanzi “hanno raggiunto livelli mai visti prima o dopo”. Viene contestata la teoria dell’“eccesso di risparmio globale” come spiegazione principale per quel periodo, poiché “la teoria dell’eccesso di risparmio globale del deficit degli Stati Uniti appare ancora meno convincente dal 2002 al 2008 a causa del deprezzamento del dollaro”. L’evidenza empirica presentata mostra che il dollaro si è deprezzato marcatamente a partire dal 2002, mentre “il deficit delle esportazioni nette è cresciuto comunque perché le importazioni sono aumentate ancora più rapidamente delle esportazioni”. Questo andamento contraddice l’ipotesi che afflussi di capitale estero continuassero a sostenere il dollaro, poiché “il prolungato periodo di deprezzamento del dollaro è incoerente con l’affermazione che gli afflussi di capitale estero hanno continuato a far aumentare il dollaro”. Vengono esaminati i ruoli dei prezzi relativi e dei volumi commerciali: “i prezzi delle importazioni diminuiscono (rispetto al deflatore del PIL) fino al primo trimestre del 2002, ma successivamente aumentano fino alla crisi finanziaria globale”, mentre “le esportazioni reali/PIL crescono costantemente dopo l’inizio del 2002 (in coincidenza con il deprezzamento del dollaro)”. Tuttavia, “la spesa per importazioni in percentuale dell’assorbimento è aumentata dal 12,5% nel 1999 e 13,7% nel 2000 al 16,5% nel 2008” nonostante l’aumento dei prezzi. Viene discusso anche il contesto della politica monetaria e finanziaria interna, notando che “il tasso di disoccupazione è sceso al di sotto del tasso di disoccupazione aciclico del CBO nella metà del 2005 mentre l’inflazione è aumentata costantemente dal suo livello del 2002 dell’1,6%” e che “le condizioni finanziarie relativamente facili [hanno prevalso] tra il 2002 e la metà del 2007”. Un tema minore riguarda l’evoluzione della Posizione Patrimoniale Netta verso l’Estero (NIIP) degli Stati Uniti e il suo disallineamento con i deficit cumulati, essendo “ora circa 18 punti percentuali al di sopra del livello dei deficit delle partite correnti cumulati del passato”. Un altro tema minore accenna all’inefficacia dei dazi commerciali come rimedio, osservando che “i dazi aumenteranno i prezzi per i consumatori e penalizzeranno le imprese esportatrici”.
8: Limiti e cause interne dei deficit esteri statunitensi (1998-2008)
Una rivalutazione critica delle teorie sulle origini estere degli squilibri macroeconomici americani.
Sommario dell’argomento
L’argomento confuta la narrazione prevalente che attribuisce i grandi deficit delle partite correnti e commerciali degli Stati Uniti nel periodo 1998-2008 principalmente a cause esterne, come un “eccesso di risparmio globale”. Si sostiene invece che “le teorie che dipingono gli Stati Uniti come il destinatario impotente degli afflussi di capitali globali e dei beni esteri più economici non reggono di fronte ai dati per gli anni 2000”. L’analisi si concentra sul periodo 2002-2008, caratterizzato dal picco del deficit e dalla bolla immobiliare. Viene rigettata l’idea meccanica per cui “i deficit degli Stati Uniti sono causati interamente da afflussi finanziari esteri” che il paese deve accogliere consumando più di quanto produca. Un fatto cruciale che contraddice questa tesi è “il forte calo del dollaro a partire dal 2002”, incompatibile con l’ipotesi che afflussi di capitale estero continuassero a far apprezzare la valuta. Si propone una narrativa alternativa in cui “in quel periodo, il capitale è stato in larga misura attirato negli Stati Uniti dall’estero piuttosto che spinto da un elevato risparmio globale”. La causa principale degli squilibri viene identificata nel boom creditizio e nella bolla immobiliare interni, guidati da “innovazioni dei mercati finanziari che hanno reso più facile per i mutuatari – i mutuatari ipotecari in particolare – emettere debito in dollari” e da un allentamento degli standard creditizi. La politica accomodante della Federal Reserve, che “mantenne bassi i tassi di interesse” dopo la recessione del 2001, e le “facili condizioni finanziarie” prevalenti sono considerate fattori abilitanti chiave. Sebbene venga riconosciuto un ruolo per la “domanda estera di attività sicure”, compresi gli acquisti ufficiali di dollari, si conclude che per il periodo della bolla immobiliare “le forze interne sembrano aver svolto un ruolo importante”. L’argomento tocca anche temi minori come l’impatto del ruolo globale del dollaro, la debolezza dei legami empirici tra afflussi di capitale e prezzi delle case, e le critiche alle politiche commerciali protezionistiche fondate su queste teorie errate.
Dibattito sul Deficit Commerciale e Politiche Tariffarie negli Stati Uniti
Analisi critica delle argomentazioni che collegano il deficit commerciale al declino manifatturiero e valutazione dell’efficacia dei dazi come rimedio proposto.
Sommario
L’argomento esamina il persistente deficit commerciale degli Stati Uniti e il contemporaneo declino della quota di occupazione nel settore manifatturiero, fenomeni spesso messi in correlazione causale nel dibattito politico. Si confuta la narrativa prevalente che attribuisce questi mali principalmente a “scorrettezze” commerciali estere e si dimostra l’inefficacia delle tariffe doganali come strumento per ridurre il deficit o creare posti di lavoro nel manifatturiero. Il testo analizza le cause strutturali dei deficit, come i vincoli delle risorse in un’economia a piena occupazione e la trasformazione economica interna, citando che “la quota stagionalmente aggiustata dell’occupazione manifatturiera nel settore non agricolo è scesa dal 14,1 per cento nel gennaio 1998 al 9,5 per cento nel dicembre 2008” mentre il deficit aumentava. Si introduce il teorema della simmetria di Lerner per spiegare perché “un dazio non migliora necessariamente la bilancia commerciale” e può essere neutralizzato da un apprezzamento valutario. Si discute come, in un’economia a piena occupazione, “i vincoli complessivi delle risorse dell’economia” limitino l’impatto delle politiche commerciali sul bilancio, spostando semplicemente risorse tra settori. L’argomento esplora anche cause alternative dei deficit, come i flussi di capitale internazionali e il ruolo del dollaro come valuta di riserva, notando che “il dollaro è generalmente un correlato forte della bilancia commerciale”. Si citano politiche alternative ai dazi, come la svalutazione del dollaro o la disciplina fiscale. Temi minori includono il ruolo dell’ingresso della Cina nel WTO, l’analisi del decennio 1998-2008 come caso di studio, e le teorie sulle cause estere vs. interne dei deficit commerciali.
Posizione esterna degli Stati Uniti, dinamiche della ricchezza netta e privilegio esorbitante
La posizione finanziaria internazionale degli Stati Uniti, il suo costo netto e i fattori che ne determinano l’evoluzione, compreso il ruolo del dollaro e dei premi di rischio.
Sommario
L’argomento analizza la posizione d’investimento internazionale netta (NIIP) degli Stati Uniti, la sua evoluzione e le implicazioni. Il punto di partenza è la questione del “privilegio esorbitante”, ovvero se gli Stati Uniti paghino sistematicamente meno sui propri “debiti esteri lordi” di quanto guadagnino sulle proprie attività estere, un vantaggio legato allo status globale del dollaro, alla liquidità dei titoli del Tesoro USA e a una maggiore propensione degli investitori statunitensi a detenere titoli esteri più rischiosi. L’evoluzione del NIIP non è determinata solo dai flussi commerciali e di reddito, ma anche dalle “variazioni del prezzo delle attività”, come quelle azionarie e dei cambi, i cui effetti sono amplificati dai livelli molto elevati di attività e passività estere lorde. Un fattore strutturale chiave è la composizione del portafoglio: le passività USA sono concentrate in strumenti di debito denominati in dollari, mentre le attività sono sbilanciate verso strumenti azionari e valute estere, permettendo di “pagare meno a causa di un premio di liquidità del dollaro e guadagnare di più a causa di un premio di rischio azionario”. Dal 2015, la quota di azioni (portafoglio e IDE) nelle passività estere USA “è quasi raddoppiata”, esponendo maggiormente il NIIP alle performance dei mercati azionari USA. La discussione include i limiti di questa posizione di indebitamento, osservando che se un privilegio persiste, vi sono “limiti a quanto l’espansione delle passività estere possa spingersi” senza aumentare i costi del prestito. Viene inoltre distinto il concetto di rischio di default, per il quale la misura rilevante sarebbe il “debito lordo degli USA verso l’estero”, e si sottolinea come il NIIP possa essere ridotto attraverso una “svalutazione non anticipata del dollaro”, sebbene tentativi sistematici di sfruttare questo canale avrebbero effetti controproducenti. L’analisi sfata alcuni miti, come l’idea che i deficit siano necessari per soddisfare la domanda globale di riserve in dollari, affermando che “la domanda globale di attività in dollari può essere soddisfatta solo attraverso i deficit delle partite correnti degli USA è diffusa ma errata”. Temi minori toccati includono le metodologie di misurazione del NIIP, l’impatto dello spostamento dei profitti delle multinazionali, il ruolo della domanda estera di attività sicure, e le cause dei deficit delle partite correnti USA nel periodo 1998-2008.
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