- 27 Dec, 2025 *

Questa mattina ho fatto un gioco creativo: mi sono immaginato una carta del celebre gioco Taboo con la parola prete. Quali potrebbero essere le parole proibite? Ne ho pensate alcune:
- Chiesa
- Messa
- Dio
- Parrocchia
- Tonaca
Ma subito mi è stato chiaro che l’elenco avrebbe potuto allungarsi facilmente. E non per caso. Moltissime delle parole che associamo al prete lo legano in modo quasi automatico a un sistema istituzionale.
Alcune potrebbero essere anche: uomo, fede, altare, peccato, Bibbia. In ogni caso, parole che rimandano più al ruolo che alla persona.
Con il ruolo, purtroppo, non ho avuto una buona esperienza. Quando ho p…
- 27 Dec, 2025 *

Questa mattina ho fatto un gioco creativo: mi sono immaginato una carta del celebre gioco Taboo con la parola prete. Quali potrebbero essere le parole proibite? Ne ho pensate alcune:
- Chiesa
- Messa
- Dio
- Parrocchia
- Tonaca
Ma subito mi è stato chiaro che l’elenco avrebbe potuto allungarsi facilmente. E non per caso. Moltissime delle parole che associamo al prete lo legano in modo quasi automatico a un sistema istituzionale.
Alcune potrebbero essere anche: uomo, fede, altare, peccato, Bibbia. In ogni caso, parole che rimandano più al ruolo che alla persona.
Con il ruolo, purtroppo, non ho avuto una buona esperienza. Quando ho preso la decisione di non essere più ufficialmente un prete della Chiesa di Roma, ho perso quel ruolo e l’ho perso di colpo. In poco tempo mi sono accorto di quanto la mia identità, la mia individualità, fossero state assorbite e definite da quella funzione. Il ruolo non mi aveva semplicemente accompagnato: mi aveva schiacciato.
Emblematica fu una frase del vescovo, quando gli dissi che ero deciso a lavorare e a vivere come tutte le persone di questo mondo. Mi rispose: “Ma scusa, se prima eri don Andrea, adesso che cosa saresti?”
Ancora oggi, ripensandoci, quella frase mi fa rabbrividire. Lo guardai sorpreso e risposi nella maniera più ovvia possibile: “Sono Andrea. Cosa e chi dovrei essere?”
Lui insistette: “Eh no, tu per la gente sei don Andrea. Adesso invece, per la gente, chi sei?”
Orribile, vero? In sostanza mi stava dicendo che non ero una persona: ero un ruolo.
In quel momento provai una rabbia indicibile. Prima di tutto verso me stesso, perché mi accorsi all’improvviso che per più di dieci anni avevo vissuto nell’illusione di essere una persona riconosciuta come tale. Le parole del vescovo, per quanto brutali, erano maledettamente vere. Lui, uomo del sistema e funzionario dell’istituzione “Chiesa cattolica”, mi aveva messo davanti a una realtà che non volevo vedere.
Questo l’ho compreso ancora meglio in seguito, nel rapporto con le persone. C’è chi ancora oggi fatica a chiamarmi per nome e si lascia sfuggire un “don” detto quasi a mezza voce; e c’è chi, invece, non parla più con me, forse per il disagio di non sapere più chi o cosa io sia per loro.
L’istituzione Chiesa spersonalizza. Ti conforma a un’immagine che non è quella di Dio, ma quella di un’organizzazione ben strutturata, gerarchica, radicata. Un’immagine funzionale al sistema, non alla persona.
È per questo che mi definisco un urban priest, ed è anche per questo che ho rifiutato persino di indossare segni che mi distinguano. Non voglio più cadere nella stessa trappola. Non voglio più essere identificato da un ruolo, ma semplicemente dal nome che i miei genitori mi hanno dato.
[#diario di bordo](https://urbanpriest.bearblog.dev/blog/?q=diario di bordo)